I Call Center di Catania
Riporto un articolo de “Il manifesto” datato 1 aprile 2005 ma di grande attualità (purtroppo)
Busta paga minimal Ecco il salario di Anna, lo scorso gennaio alla Cosmed (gruppo Cos) di Catania: 109 euro netti, durata del contratto tre mesi. In pratica un euro all’ora, zero contributi e l’ansia di non essere riconfermata. Telefonando su commesse Wind e Sky. Ad Alice Service, invece, alcuni operatori raccontano di aver lavorato a nome di Telecom. Pur essendo in nero
ANTONIO SCIOTTO (INVIATO A CATANIA)
Un euro all’ora. Anna ci viene incontro con una cartellina marrone, è appena uscita dal palazzone a vetri della Cosmed di Misterbianco, il call center del gruppo Cos, subito fuori Catania, che opera in appalto per Wind e Sky. «Guardate – ci dice mostrandoci la busta paga – in gennaio ho guadagnato solo 109 euro». E non è che abbia lavorato poco: giusto 4 ore e mezzo per 6 giorni a settimana, ovvero 108 ore. Ma parlare di retribuzione oraria, in realtà, non è esatto, e anzi svierebbe dal problema: Anna e i suoi colleghi non hanno neppure la dignità di un compenso fisso, per quanto basso. Lavorano completamente a cottimo, con il sistema del «talking time»: «Quando entro in sede – ci spiega sfogliando l’agenda in cui segna tutti gli orari – mi “logo”, ovvero mi attacco al sistema e comincio a fare le telefonate. Ma non mi viene retribuito tutto il tempo che sto in azienda, bensì solo quelle chiamate considerate “utili”, cioè in cui il cliente abbia mostrato interesse e ci abbia permesso di spiegare il contenuto dell’offerta che vendiamo. Per tutto il resto, quando non trovo nessuno in casa, o se mi sbattono il telefono in faccia, quando mi insultano o gentilmente mi dicono “no grazie”, per tutto questo lavoro gratis». Lo stesso contatto utile è conteggiato soltanto per il tempo di conversazione: ogni 15 minuti fanno 1,70 euro. L’agenda di Anna dice che oggi è stata «logata» per 2 ore e 19 minuti, ma il «talking time» è solo di 1 ora e 18. Il calcolo è presto fatto: stavolta ha regalato alla Cos – e alla Wind – un’ora e un minuto del suo lavoro. La parola «schiavitù» non sarà politically correct, e forse dovremmo astenerci dall’utilizzarla, ma in quale categoria si può inserire il lavoro non retribuito? D’altra parte, mica questi ragazzi sono obbligati a rimanere «logati» con le catene. Gaetano, un collega di Anna, ci spiega che a tutte le loro proteste la risposta è sempre la solita: «Cosa volete, un fisso in busta paga? Noi non possiamo darvelo, la legge Biagi non lo contempla – rispondono i solerti responsabili del personale – Se non vi va bene potete andarvene, abbiamo la fila di persone che chiedono colloqui per lavorare qui». E questo è vero, le domande e i curriculum si affastellano nei file della dirigenza Cos: spesso chi approda alla Cosmed – o alla gemella Sicos – fugge da condizioni di lavoro ancora più selvagge e peggio retribuite. Lo stesso Gaetano ha lavorato qualche mese ad Alice service, il call center della centralissima Piazza della Repubblica a Catania, commesse Telecom: «Non ho mai visto un euro, ci hanno sempre detto che dovevamo aspettare per i pagamenti. Adesso siamo in vertenza per ottenere quanto ci spetta». E allora tocca accettare. Sbarriamo in agenda i giorni in cui non si lavora: non retribuito. Sbarriamo Pasqua e Pasquetta, Natale, Ferragosto e Capodanno: non retribuiti. Sbarriamo le tre settimane di chiusura in agosto: non retribuite. Sbarriamo i giorni di infortunio e malattia: non retribuiti. Sbarriamo la maternità: non retribuita. Sbarriamo anche il tfr, mentre per la pensione forse qualche spiccioletto riusciamo a metterlo da parte, grazie alla gestione separata dell’Inps, quella dei lavoratori di serie Z. Ecco alla fine i 109 euro di Anna: si rifarà per pagare la benzina? Qui, sullo stradone che da Misterbianco conduce a Catania, non arrivano mezzi pubblici, e ai collaboratori a progetto, ovviamente, non è neppure concesso il posteggio nello spiazzo aziendale. E’ un viavai di macchine di familiari che lasciano davanti al call center figli o coniugi, oppure le automobili possono essere lasciate fuori: l’euro di un’ora di lavoro potrà essere utilmente devoluto al Capo, il parcheggiatore abusivo.
Una condizione di precarietà e umiliazione comune almeno a tremila operatori, nel catanese. Se si escludono i lavoratori del call center Vodafone, che hanno tutti rapporti di lavoro subordinati – seppure vi sia il ricorso all’interinale – il resto degli operatori si raccoglie nei big della Cos (Sicos e Cosmed, 800 persone), alla Kronos (200), alla Mibi (200), ad Alice service (80), più vari minori: In linea, Regno Verde, Servicom, Touch Down, Biosan. Sicos e Cosmed hanno già scioperato due volte da inizio anno, mentre venerdì 18 marzo, insieme agli altri 6 call center, hanno fermato il lavoro e manifestato per difendere una piattaforma con tre punti qualificanti: un fisso mensile certo, i diritti sindacali, la graduale stabilizzazione dei contratti. Per il momento, infatti, tutti gli operatori sono contrattualizzati come «lap», lavoratori a progetto rinnovabili ogni tre o sei mesi, praticamente prorogabili a vita. A guidare le proteste, Massimo Malerba, segretario provinciale del Nidil: «I lavoratori – ci spiega – sono abbastanza sindacalizzati e cominciano a reagire allo sfruttamento. Abbiamo un incontro con la Cos il 5 aprile, lì puntiamo ad avere garanzie certe». Pippo Di Natale, segretario provinciale Cgil, conferma che un buon risultato al tavolo Cos avrebbe un effetto «trascinamento» sulle altre aziende: «La piattaforma vale per tutti i call center, puntiamo a un fisso mensile e alla graduale stabilizzazione».
Negli altri call center, d’altra parte, i lavoratori hanno dovuto vedersela addirittura con il lavoro nero. A Giuliana, da gennaio a maggio del 2004 ad Alice Service, è stato detto più volte che avrebbe firmato un contratto, ma questo non è mai arrivato: «Lavoravo in nero e a provvigione – racconta – per 2,50 euro all’ora. Per i pagamenti mi chiedevano di aspettare, dicevano di avere problemi finanziari. Ma intanto vedevo che compravano l’appartamento vicino, che acquistavano nuovi computer». I «salari» di Giuliana non sono mai arrivati, e anzi di recente le ha telefonato un sedicente consulente di Alice che le ha consigliato di accettare solo il 40% del dovuto, «è un consiglio da padre», le ha detto alla fine. Altri tre ragazzi ci confermano di avere arretrati non riscossi da Alice Service. Ma la Telecom, che affida gli appalti, conosce la situazione dei lavoratori? Bisogna ritenere di sì. Innanzitutto perché gli operatori si presentano sempre come «Telecom Italia», possono accedere con username e password ai profili dei clienti (e dunque violano potenzialmente la loro privacy anche quando lavorano in nero), hanno avuto l’autorizzazione a partecipare al concorso «Vendi e vinci», che assicura premi a chi vende più prodotti. Da qualche mese Alice service ha scelto di passare ai contratti a progetto, e i collaboratori fanno dai 250 ai 400 euro mensili come part time: niente fisso, tutto a provvigioni. Un’altra giovane ha lavorato per il call center Tin it, sempre a commessa Telecom, ma ha lasciato dopo poche settimane perché i datori di lavoro cambiavano sempre le carte in tavola sull’entità dei compensi, non c’era contratto. Stessa precarietà alla Kronos, dove un’operatrice parla di 400 euro medi al mese per 5 ore di lavoro 5 giorni a settimana. (2 / Fine. La prima parte è stata pubblicata sul manifesto del 29 marzo 2005)
Il Manifesto, 01/04/2005